In nome di un impegno comune/Rinnovamento sulle basi della nostra tradizione

Le diatribe del passato vanno messe da parte

di Widmer Valbonesi

Quello che più manca alla politica è la capacità di analisi dell’evoluzione della società. Nessuno nella politica bipolare, velleitariamente bipartitica, si dedica più all’analisi politica e alla definizione del modello di società che si vuole perseguire. Quello che la dialettica politica, che i partiti, eredi di tradizioni culturali e storiche radicate nel paese, garantivano col pluralismo delle idee e che produceva una sintesi politica nel Parlamento, non esiste più e questo porta ad una involuzione pericolosa per la capacità di rinnovamento del paese.

Le ragioni sono diverse, ma credo che essenzialmente occorra rendersi conto che senza il radicamento nelle tradizioni culturali del paese è difficile capire il passato e di conseguenza governare il presente per proiettarlo nel futuro di una realtà profondamente modificata.

Il fenomeno dell’assenteismo non è solo una generica protesta contro il vuoto di idee che contraddistingue i soggetti politici esistenti, bensì la consapevolezza che la lotta per la conquista del potere e non per il governo dell’interesse generale del paese, rende protagonisti occulti quei soggetti forti che sempre sono stati presenti, ma che l’opposizione e la mediazione politica riuscivano a contenere entro limiti di decenza.

Il risultato è che tutti inseguono le corporazioni, negando non solo i diritti individuali, ma anche il senso del dovere verso il bene comune, tutti inseguono il localismo, in piena globalizzazione, come una risposta clientelare ai bisogni delle popolazioni creando sovrastrutture, sperperi, inefficienze che la competizione mondiale dovrebbe eliminare per liberare risorse verso gli investimenti strategici, sia quelli del merito intellettuale, sia quelli delle priorità infrastrutturali.

La destra si limita a gestire l’esistente in quanto portatrice di un conservatorismo storico e culturale e quindi si barcamena nella fase contingente ma ha una sua coerenza di fondo. La sinistra, che dovrebbe essere portatrice di una politica riformatrice di trasformazione costante della società allargando le opportunità per coloro, cittadini o zone del paese, che più sono discriminati da un meccanismo di sviluppo clientelare e corporativo, in effetti insegue la destra nella sua volontà di interpretare i bisogni dei gruppi di pressione corporativi, perseguendo non l’interesse generale ma i "tutelati " dallo stato assistenziale, dipendenti pubblici e dipendenti delle grandi imprese, su posizioni di difesa dell’esistente (come il caso FIAT insegna ) e non sulla base di elementi di competitività internazionale che diano stabilmente occupazione e possibilità di sviluppo.

I santuari delle istituzioni pubbliche, in cui si consuma il falso mito della partecipazione dei cittadini, hanno creato una rete di poteri comunali, provinciali, regionali, metropolitani che fanno lievitare i costi, la burocrazia, i conflitti di competenza, e sono vere e proprie palle di piombo sulle ali delle imprese e dei cittadini. Il disboscamento dei livelli dello stato con l’accorpamento dei comuni e l’abolizione delle provincie.

Tutto questo naturalmente porta la gente ad arrangiarsi e non a quello spirito civico di cittadinanza, quel "patriottismo costituzionale repubblicano" che dovrebbe contraddistinguere una nazione moderna e consentire un esercizio della politica come una sfida per il buongoverno del paese.

Le forze politiche non hanno radicamento culturale e politico. Tentare attraverso escamotages tattici di fondere culture riformiste produce velleitarismo e un impoverimento tale che oggi la sinistra non solo non riesce ad essere alternativa, ma non ha nulla da proporre come elemento della sua unità se non l’antiberlusconismo.

Questo rende priva di alternativa una destra non certo illuminata e coraggiosa e l’incapacità cronica della sinistra consente alla destra di vivacchiare in una rendita di posizione che la gente vive come il meno peggio non certo come il meglio del buongoverno.

Mentre nella prima Repubblica, sinistra socialista, repubblicani, comunisti, cattolici di sinistra discutevano, si confrontavano su modelli di sviluppo della società, oggi hanno perso la capacità di fare sognare i più deboli e i più moderni cioè coloro che dal corporativismo di destra e di sinistra sono paralizzati e penalizzati.

Gli unici che hanno conservato memoria storica e un ruolo d’interpretazione di queste realtà che sono molto di più di quello che può sembrare, sono i repubblicani, che hanno la responsabilità storica di rilanciare questa cultura del civismo e del patriottismo costituzionale repubblicano come la risorsa vera del paese. Se noi ci facciamo inglobare nelle miserie delle politiche di schieramento, essendo tra l’altro molto deboli sul piano organizzativo e del consenso elettorale, saremmo cancellati definitivamente: perché oggi non siamo in presenza di due o tre schieramenti che si confrontano sulle cose serie della politica e dell’interesse generale, ma di fronte a due schieramenti che si assomigliano nella loro incapacità di esprimere buongoverno e una terza che fa dell’interdizione politica a fini di sottopotere clientelare. Quindi schierarsi con uno o con l’altro è colpevole ma schierarsi col terzo significa strutturalmente avere subito una modifica genetica della nostra caratteristica politica e culturale che fa delle idee e dei contenuti la spinta propulsiva al cambiamento.

Quindi la partita strategica è quella delle idee, del modello di società liberal-democratica "repubblicana" che vogliamo costruire per quell’Altra Italia, dimenticata da tutti, Europea ed occidentale, quella del merito, dell’imprenditoria sana, dello stato snello, della giustizia equa, veloce e certa, che investe sull’ammodernamento del sistema paese e sui giovani e che solo un progetto costituente nuovo può garantire, recuperando tutta la diaspora ed aprendoci ai gruppi sociali delle società aperte e contro tutti i protezionismi ed assistenzialismi da chiunque professati.

Poi, esiste una partita "tattica" di presenza nelle istituzioni che possiamo garantirci senza troppi vincoli, direi senza fasciarci la testa o creando problemi di ulteriori spaccature qualora non ci siano soluzioni unitarie. Direi che tutti i repubblicani fino a quando la legge elettorale o la forza del nostro consenso non ce lo consentirà, devono vivere le alleanze come un fatto "tecnico" che ci impegna per i programmi che sottoscriviamo, ma che non ci impediscono di fare politica sui contenuti, sui valori di una piattaforma liberal-democratica che rimane il nostro modello di sviluppo strategico della società italiana, a parole liberale ma, nella realtà, catto-comunista, dorotea e populista anche più che nella prima Repubblica.

La presa d’atto dell’incapacità di queste forze politiche di essere una credibile fonte di riforma della società deve portarci tutti a trovare le ragioni di un patto fondativo nel perseguimento di quel Patriottismo Costituzionale Repubblicano che forma cittadini nuovi, ricchi di virtù civili e di visione alta dei problemi ritrovando in questo la modernità del ruolo del PRI e del repubblicanesimo quale cultura politica capace di interpretare le trasformazioni economiche e sociali e di darvi risposte con un metodo che preserva il bene comune in una visione dinamica di trasformazione e di progresso.

E’ in questo che si devono mettere da parte le diatribe del passato, è in questo che si devono trovare le ragioni di un impegno comune, è in questo che il rinnovamento trova una sua continuità con la tradizione e può essere foriero di successo.

Occorre coraggio, orgoglio e consapevolezza e un grande amore verso quell’Edera che, come dice una mia poesia: "Resta tenace l’edera, non ha radici al vento, abbarbicata alla sua storia avrebbe ancora tanto da dire".